La coltivazione del riso in sommersione è ad oggi la tecnica più utilizzata (75% del totale) grazie ai vantaggi apportati dalla termoregolazione dell’acqua e al soddisfacimento delle esigenze idriche.

Questa tecnica ha però lo svantaggio di emettere grandi quantitativi di metano (3,52 kg/anno) e di protossido di azoto (1,17 kg/anno). L’utilizzo di tecniche agronomiche alternative e lo studio di nuove pratiche agronomiche consente, oltre a una riduzione del consumo di acqua, una minore emissione di gas pericolosi.

La scarsa utilizzabilità della paglia di riso la rende spesso oggetto di bruciatura. Questo intervento è fonte di particolato, che nei mesi invernali, caratterizzati dall’inversione termica, ha un’estrema rilevanza sull’inquinamento atmosferico. Ad oggi, la bruciatura è limitata a meno del 5% della superficie piemontese a riso, e nell’ottica della tutela e della valorizzazione della sostanza organica del suolo agrario è una pratica in via di abbandono.