La fertirrigazione è un innovativo metodo colturale che concilia due importanti operazioni agricole: fertilizzazione e irrigazione. La pratica simultanea delle due azioni consente di massimizzare la loro efficienza e concorre alla riduzione dei volumi idrici utilizzati per scopi irrigui.

Il suo sviluppo è nato a partire dalle coltivazioni fuori suolo, in cui è indispensabile fornire, in una matrice liquida, il giusto apporto di elementi nutritivi utili alle piante. Questo metodo, applicato successivamente anche in pieno campo e in ambiente protetto, consente di ridurre al minimo le perdite (ancor meglio se abbinato a sistemi di microirrigazione), limitando l’impatto ambientale dell’operazione e riducendo il costo della concimazione.

La tecnica, diffusa oramai in tutto il mondo, è poco sfruttata nel territorio italiano a causa della carenza di preparazione tecnico/professionale degli operatori di settore. È opportuno infatti conoscere tutti gli aspetti relativi alla formulazione di soluzioni fertilizzanti per limitare danni produttivi e trarre vantaggio dalla pratica.

Tra le coltivazioni fuori suolo che utilizzano l’acqua come vettore e non solo come elemento indispensabile per i vegetali, esistono le cosiddette coltivazioni “Idroponiche” che sfruttano la soluzione nutritiva senza servirsi substrati di ancoraggio e le coltivazioni “fuori suolo” che ricorrono all’utilizzo di materiali inerti (es. argilla espansa) o organici (fibra di cocco)  per l’ancoraggio dell’apparato radicale delle specie coltivate.

Quest’ultimo tipo di soluzione si divide ulteriormente in base al destino della soluzione drenante in:

  • Ciclo aperto: quando la componente liquida non viene riutilizzata o viene riutilizzata per altri scopo differenti ( es. fertilizzazione colture in pieno campo);
  • Ciclo chiuso: in cui la frazione liquida esausta viene “ricaricata” degli elementi necessari e riutilizzata nel ciclo produttivo fuori suolo. Verrà sostituta periodicamente, in modo da non essere veicolo di possibili agenti patogeni.