Il butanolo, alcol a quattro atomi di carbonio, è un interessante molecola a fini energetici con molte caratteristiche vantaggiose: bassa igroscopicità, +25% del potere calorifico inferire (Pfi) rispetto all’etanolo ed è facilmente biodegradabile nell’ambiente.
Per contro ha un numero di ottani basso (78) rispetto a benzina (81-89) ed etanolo (102), ma può essere facilmente miscelato con biocarburanti fossili per un massimo del 33% del volume totale della miscela.
Gli studi sulla produzione del biobutanolo, iniziati nel 1861 per fini bellici, hanno portato all’isolamento del batterio Clostridium acetobutylicum in grado di metabolizzare zuccheri e amidi e produrre acetone, butanolo e etanolo.
La produzione di biobutanolo è legata a impianti di medio – elevata complessità e presentano alcuni limiti legati all’input di biomasse, superabili con i seguenti metodi:
- Produzione di prima generazione con zuccheri ed amido, migliorabile con selezione di ceppi più produttivi del batterio acetobutylicum o la selezione di nuovi batteri;
- Produzione di seconda generazione attraverso l’utilizzo di materie prime di scarto: si possono utilizzare effluenti saccarini di scarto, acque residue dell’industria delle bevande, saccarificazione delle biomasse lignocellulosolitiche ;
- Utilizzo del processo Abengoa, che sfrutta gli impianti ad etanolo a cui viene indotta una reazione catalitica chiamata “reazione di Gerbert”. Per ora esistente solo in scala industriale.
L’utilizzo di biobutanolo in campo agro/industriale può rappresentare un importante passo avanti per lo sviluppo delle energie rinnovabili, ma la complessità degli impianti rende questo sistema meno competitivo rispetto alla produzione di biogas o biometano e limiterebbe le imprese agricole alla sola produzione di biomasse senza alcun beneficio derivato dal valore aggiunto determinato dalla produzione della biomolecola.